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    Alla calata dei barbari altri abitatori della piana di Pontecagnano e del Sele dovettero raggiungere quegli scampati, soprattutto dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente, nei secoli V e successivi, quando cercarono rifugio nelle più sicure zone interne o sui monti, protetti da qualche guerriero che, arroccatosi in qualche castello, presto assunse il comando delle strategie di difesa. Picentia che era stata riedificata per la terza volta, venne ancora saccheggiata nel X secolo dal Saraceni provenienti da Agropoli; e così più non risorse. Le popolazioni rimasero nelle più sicure zone interne e fortificarono un antico castello romano, detto Castelvetrano, posto a vedetta all’entrata occidentale della valle picentina, mentre nella parte orientale innalzarono; per la stessa ragione, i castelli di Olevano e di Montecorvino.
    Al centro della valle picentina eressero pure il castello di Giffoni. Attorno a questi luoghi fortificati presto si organizzarono le curtes dominicae che, con la riconquistata serenità, fecero registrare una rinnovata crescita demografica ed economica. Giffoni infatti risulta tra le Arcipreture confermate all’Arcivescovo di Salerno nella Bolla Licei Nobis (1168) di Alessandro III (1159-1181). L’incremento demografico fece sorgere i casales, piccoli nuclei fondiari in loco, con case ed edifici necessari alla coltura dei campi assegnati ad una o più famiglie.
    Nell’alto medioevo questi centri dovettero costituirsi in feudi che dai Longobardi furono divisi in distretti amministrativi, denominati gastaldati e distribuiti secondo i centri principali.
    Sempre nel periodo longobardo dovettero costituirsi le prime contee che ancor più si svilupparono in età normanna, quando si costituì il Comitatu jufunense. Un Guaimario (1066-1116), consanguineo del Principe Guaimario V e parente dell’altro Principe salernitano Gisulfo che fu spodestato dal cognato Roberto il Guiscardo, nel 1088 si faceva chiamare conte di Giffoni. Forse si tratta di quello stesso Guaimario, signore di Giffoni, che nel 1097 donava alla Badia di Cava un piccolo porto sul mare di Velia. Le terre del giffonese avevano già attratto la cupidigia dei Normanni, infatti tra i beni della mensa episcopale salernitana invasi dal Conte di Principato e da un suo milite, Guimondo de’ Mulsi, al tempo dell’ascesa del Guiscardo nell’Italia meridionale, figurano anche alcuni poderi di Giffoni. Dall’età normanna al posto dei gastaldati si consolidarono le contee e, con l’introduzione e l’estensione del feudo alla maniera dei Franchi, divennero stretti i rapporti tra il potere centrale e i feudatari.
    A cavallo della dominazione normanno-sveva molti Casales furono uniti, dando così origine alle Universitas che resero fine alle leggi eversive della feudalità emanate dai Napoleonidi nel 1806. Così verso la meta del XIII secolo la contea giffonese si divise in tre Università: Valle e Piano, Sei Casali e Gauro.
    L’Universitas Sex Casalium riuniva sei Casali: Ausa, Belvedere, Bissido, Capitignano, Prepezzano e Sieti. Gli abitanti di ogni centro vennero allora retti da leggi emesse, in armonia con le leggi del Regno, da un potere centrale costituito da amministratori eletti da ogni Università e riuniti in Reggimento (Consiglio comunale) con una propria Cancelleria (Municipio).
    Quest’ultima, con la sede del Signore e le carceri, era nel territorio di Valle e Piano.
    Verso la fine del 500, come ci informa un apprezzo fatto redigere dalla baronessa Isabella Gonzaga, per la vendita del feudo, la terra di Giffoni contava 2.300 nuclei familiari sparsi per venticinque casali situati dentro una valle piana e larga nelle pedemontine e falde delle montagne che circondano per lungo e largo questi Casali per circa miglia sessanta.
    Vi sono tre governi sotto una giurisdizione li quali sono: Curti e Curticelle con Torello, S. Giovanni, Pezzarolo, Cataldo, Reali, Gaya, Granozzi, Vassi, Vignadonica, Calabrano, Jaconolupi, Poyo, Pasquali, Terravecchia, Galiano et Ornito alli quali 18 Casali vi è il Sindaco et Eletti.
    Prepezzano, Ausa, Bissido, Capitignano et Sieti tiene l’altro (Sindaco) e Gauro l’altro (cioè il Terzo Sindaco)”.
    Nel corso dei secoli alcuni di questi nuclei sono scomparsi, altri si sono sviluppati o si sono fusi tra loro, vivendo tutti le stesse vicissitudini, più o meno felici, e passando da un signore all’altro. Infatti il territorio giffonese legò le sue sorti a feudatari appartenenti a vari casati. Già possedimento, come ho appena scritto, del conte Guaimario di Giffoni, in epoca sveva passò dai Filangieri al Conte di Andria; con gli Angioini passò a Giacomo di Brusson, vice ammiraglio del regno; quindi dalla famiglia dei D’Aquino a re Ladislao di Durazzo che donò il feudo alla madre, la regina Margherita. Di mano in mano passò poi al marchese di Pescara Don Innico D’Avalos, a Matteo di Capua, principe di Conca, che lo rilevò da Isabella Gonzaga vedova di Francesco Ferrante d’Avalos nel 1594, poi a Siqueros D’Ebreu e in ultimo ai Pamphili-Dona che lo resero fino alla citata soppressione della feudalità.

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